Usare la musica sui pazienti in coma: ha senso oppure no?

Può la musica essere così tanto potente da riuscire ad entrare in contatto con le persone in coma, ed in particolare con quelle che si trovano in uno stato di coma vegetativo? Può la musica riuscire a comunicare direttamente con la persona, anche se quella persona apparentemente non è in grado di ricevere (e tanto meno di emanare) alcun tipo di segnale? E poi ancora, la musica è davvero in grado di “risvegliare” un individuo dal coma? Queste sono domande che gli studiosi si chiedono ormai da parecchi anni e che man mano che la ricerca va avanti e che i test vengono condotti, sembrano gradualmente trovare risposta.

Una risposta chiara e provata ancora non c’è, ma quel che si può considerare abbastanza certo è che la musica ha degli effetti tangibili sulla psiche dell’uomo. La questione però è sempre quella, e cioè se la musica possa produrre tali effetti anche su una persona in coma o se funzioni soltanto con chi ha una testa “funzionante”.

A questo proposito alcune ricerche sulla percezione uditiva hanno provato a dare qualche risposta, e proprio da tali ricerche è venuto fuori che le fibre uditive non vengono minimamente intaccate dall’anestesia, e che quindi continuano a trasmettere suoni consentendo al cervello di carpirli anche quando la coscienza non c’è più. E’ un po’ quel che accade quando si dorme: la coscienza non è più attiva, ma l’apparato uditivo sta comunque continuando a funzionare. Da questo assunto si può dedurre che anche i pazienti vegetativi riescano ad acquisire i suoni, ivi compresi quelli della musica.

Partendo da un tale presupposto, la musicoterapia si è evoluta e affinata sempre più nel tentativo di produrre dei risultati sui pazienti privi di coscienza; obiettivo della musicoterapia è, in questo caso, stimolare l’apparato cerebrale e sensoriale per aiutare chi è in coma a rimanere “coi piedi in questo mondo”. Dopotutto non è così strano: dal momento in cui ogni suono presente nel nostro cervello è stato registrato e archiviato insieme a dei precisi spaccati di vita, e quindi associato anche ad immagini, odori e così via, è naturale che quando quel suono viene riprodotto, nella persona si riaccendono tutta una serie di sensazioni che erano rimaste latenti.

Ecco perché far ascoltare brani o suoni ricchi di significato per quel determinato soggetto è importante! Tuttavia è bene precisare una cosa, e cioè che questo sistema, per quanto la stessa scienza lo stia ritenendo ricco di potenziale, non può e non deve esser preso come oro colato. In buona sostanza, se è vero che la musica può far bene anche a chi è in uno stato di coma vegetativo, è anche vero che non bisogna aspettarsi risvegli improvvisi, automatici o quasi miracolosi. Certamente c’è grande speranza attorno al fatto che la musica possa aiutare un paziente a “ritornare in sé”, tanto più se questo ha subito un trauma all’apparato uditivo che di fatto limita fortemente le possibilità di successo.

Alla fine dei fatti, l’importante è restare coi piedi bene ancorati al terreno, ma al tempo stesso darsi la possibilità di usare la musica per stimolare il paziente, per ricordargli, attraverso appunto il meccanismo delle vibrazioni, che lui c’è, che il suo corpo c’è, e che quella condizione non l’ha fatto smettere di esistere.

Immagine da local.theonion.com